Tuono nel cuore

L'editoriale su "La vita cattolica" di don Daniele Antonello per la morte di Benedetto XVI

In questi giorni sono state numerosissime le attestazioni di affetto per il caro Benedetto XVI. Anche le testimonianze, i ricordi e gli aneddoti che lo riguardano si sono moltiplicati, segno di una presenza che nella Chiesa è stata capace di far ardere i cuori e le menti di tante persone, come teologo, pensatore e pastore. Desidero condividere anch’io due piccoli episodi che riguardano la mia vita sacerdotale, semplici momenti che si sommano ai tanti segni quotidiani che Dio lascia impressi nel cuore come passaggi indelebili del suo amore.
Il primo risale ai funerali di San Gio-vanni Paolo II, era l’8 aprile 2005. Wojtyla era stato il Papa della mia infanzia e della mia adolescenza, presenza speciale per i giovani di tutto il mondo, come lo era stato per me. Avevo deciso di non partecipare alla celebrazione delle esequie poiché dovevo lavorare sulla tesi di laurea. Quella mattina però decisi di rimanere incollato al televisore per partecipare in comunione spirituale con quanto si stava vivendo a Roma. L’omelia del cardinale Ratzinger è stato un vero e proprio “tuono” nel cuore: per otto volte utilizzò la parola “seguimi” per parlare della vita di Giovanni Paolo. Quella parola evangelica da lui pronunciata è rimasta impressa nella mia mente, talmente roboante da diventare il punto di partenza per un serio discernimento sul sogno di Dio per me. A distanza di anni non posso non riconoscere il passaggio dello Spirito del Signore nella mia vita, suo invito a “seguirlo” nella strada del sacerdozio.
Il secondo episodio è avvenuto agli inizi di maggio del 2011, quando Benedetto XVI ha incontrato le Chiese del Nord-est. Ero diacono, mancava poco più di un mese all’ordinazione sacerdotale. Conclusa la preghiera nella Basilica di Aquileia, il Papa è stato accompagnato in sacrestia per un piccolo momento di ristoro, prima di continuare gli appuntamenti in agenda.
L’allora rettore del seminario, don Dino Bressan, pensò bene di invitare tutti noi seminaristi a metterci a lato della basilica per salutare il Pontefice non appena fosse uscito. Il rettore gli strinse la mano e indicò al Papa me e l’altro diacono, don Marcin Gazzetta. Si fermò, ci fissò con uno sguardo magnetico e con un sorriso ci disse: “Così giovani? Siate dei bravi sacerdoti”! Un bel colpo al cuore, ricolmo di emozione. Il giorno dopo ci saremmo ritrovati a Mestre con tutte le Chiese del Nord-est per celebrare insieme l’eucaristia. L’altare era troppo piccolo per poter ospitare tutte le pissidi da consacrare e così il cerimoniere decise di chiedere a tutti i diaconi transeunti (in vista dell’ordinazione sacerdotale) di mettersi attorno all’altare e di tenere in mano i calici e le pissidi per i concelebranti. Le mie mani sarebbero diventate parte di quell’altare: che meraviglia! Piccoli fatti, dicevo, che se letti alla luce di quella fede che con tanto ardore Benedetto XVI ha annunciato nel suo pontificato, riecheggiano come presenza fedele del Signore lungo il trascorrere del tempo. Come bene ha scritto il nostro arcivescovo Andrea Bruno, «ci sarà tempo per prendere coscienza della grandezza di fede, di dottrina e di carità di Benedetto XVI».
Questo intanto è il momento del ricordo nella preghiera, personale e comunitaria, con la speranza certa che ora incontrerà definitivamente il volto di Dio che da sempre ha servito come “umile servitore della vigna del Signore”.
Grazie, Papa Benedetto, per la tua presenza viva nella Chiesa!

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