Sacerdoti nell’anno della Carità

Nella Santa Messa Crismale di quest’anno, mi ha colpito particolarmente un tratto dell’omelia del nostro Arcivescovo; così diceva: “tutti noi abbiamo ricevuto da Gesù la grazia di essere dei consacrati nel suo stesso amore che lo Spirito ha riversato in abbondanza nei nostri cuori. Quale progetto di vita più grande che quello di immergere, giorno dopo giorno, tutta la nostra persona nello stesso amore di Cristo! Qui sta la nostra invincibile speranza, la speranza che, quando giungerà il momento del misterioso passo della morte e ci troveremo faccia a faccia davanti a Gesù, possiamo dirgli: ho speso i miei giorni per diventare un consacrato come te; il tuo amore per il Padre e per i fratelli è diventato tutta la mia vita”. Invincibile speranza! Questa bella espressione, che viene dal dono della fede, coincide per il sacerdote con il progetto grande della sua vita e si esprime in una vita gioiosa e totalmente spesa, senza riserve.
 
Questa grazia -immeritata- di diventare dei consacrati nell’amore del Figlio per il Padre e per i fratelli, diventa inoltre per noi sacerdoti, come un appello ad esprimere quella particolare forma dell’amore, che noi chiamiamo “carità pastorale”. La “carità pastorale” è “l’elemento unificante della vita e del ministero presbiterale”, affermava San Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis (nn. 21-23 in particolare). In questo anno dedicato alla riflessione sulla virtù della carità, comunità, operatori pastorali, fedeli laici, consacrate/i e sacerdoti, hanno più volte approfondito e testimoniato concretamente la virtù della carità nelle diverse esperienze della nostra diocesi; in vista dell’ordinazione presbiterale di Don Agostino Pitto (nuovo ed unico sacerdote per la nostra diocesi in questo anno 2015) e dopo questi primi mesi di presenza in Seminario come formatore, ho accolto volentieri l’invito a fissare in queste poche righe una personale riflessione sulla “carità pastorale”. Infiniti -certamente- sono i contributi teologici e magisteriali che la Chiesa ci offre in merito, ma qui esprimo semplicemente solo ciò che con gli occhi e con il cuore vivo sul piano spirituale e personale.
 
Credo che tutte le vocazioni della Chiesa rispecchino un tratto particolare del mistero di Cristo morto e Risorto: nell’obbedienza e nella fedeltà; nella castità e nella povertà; nella contemplazione del Padre; nell’attenzione ai poveri, ai bambini e ai più deboli; nel dono e nella promessa sponsale; nella capacità di offrire e alleviare le sofferenze; nello slancio di un servizio gratuito; nell’esercizio del vero potere, cioè nella forma umile della diaconia pastorale. Anche la nostra Chiesa di Udine, è come uno specchio di queste ricchezze di Cristo e tutti i battezzati riflettono un particolare aspetto di tale mistero. Per noi sacerdoti in particolare, “la consacrazione battesimale ha assunto una forma specifica con il sacramento dell’ordine sacro: in quel momento, lo Spirito Santo ci ha nuovamente consacrati nella carità riversando in noi i sentimenti del cuore di Gesù Buon Pastore” (Omelia del Vescovo). Questo “riversare in noi i sentimenti del cuore” compiuto da Gesù, è per noi preti il dono più grande che Dio ci ha fatto e diventa per noi responsabilità, gioia e impegno missionario per la nostra Chiesa. Senza questi sentimenti del cuore di Gesù Pastore che dobbiamo custodire nel nostro cuore di pastori, difficilmente riusciremmo a vivere la “carità pastorale”.
 
Questa carità del cuore che nel pastore diventa -appunto- “pastorale”, è dunque il centro unificante nella vita di noi sacerdoti; se ci pensiamo bene, il dialogo d’amore tra Gesù Risorto e Pietro – “mi ami tu?”, “tu sai che ti amo” (cfr. Gv 21, 15-17) – rimane in noi il “segreto permanente” della vita sacerdotale: la domanda sull’amore verso Gesù Pastore, precede cioè e innerva il mandato di pascere il gregge. Se il ministero presbiterale non nascesse da questo amore, cadrebbe in una prestazione adatta ad un funzionario e non sarebbe il servizio di un pastore che invece offre e spende la vita per il gregge. La “carità pastorale”, come dinamica interiore di un Amore grande ricevuto, ci aiuta quindi a convertire il nostro “fare il prete” nella più costruttiva consapevolezza dell’“essere prete”; questo, a beneficio delle tante persone che incontriamo e l’edificazione della nostra amata Chiesa friulana. Questo anno diocesano dedicato alla carità, sia dunque l’occasione per rinnovare e rafforzare interiormente quei sentimenti positivi e grandi che vengono dalla nostra ordinazione presbiterale: “Grazie a questa consacrazione operata dallo Spirito nell’effusione sacramentale dell’Ordine, la vita spirituale (del sacerdote) viene improntata, plasmata, connotata da quegli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa e che si compendiano nella sua carità pastorale” (Pastores dabo Vobis, n.21). Rinnovare e rafforzare la “carità pastorale” significa allora vivere la bellezza dell’unione con Cristo, che è il fondamento di tutte le altre relazioni: tra noi sacerdoti con-fratelli, con tutte le sorelle e i fratelli di fede, ma anche con chi è più lontano o di religione diversa. Questo è un impegno che dobbiamo rinnovare ogni giorno e che, solo la preghiera, la meditazione della Parola di Dio e la celebrazione dell’Eucaristia possono custodire in noi.
 
Rivolgo dunque a Don Agostino in particolare e a tutti i sacerdoti, l’augurio di vivere nella gioia questa virtù della “carità pastorale” che in noi è “imitazione di Cristo” nel servizio e nel dono totale di sé.
 
Don Ilario Virgili
Direttore spirituale del Seminario Interdiocesano.

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